BIODANZA E POESIA – 10/10 SFIDE CONTEMPORANEE – BIODANZA
Giornata Internazionale della Biodanza / 19 aprile 2020
di Auribio Farias
Quando parlo di poesia, penso immediatamente all’idea che la poesia sia la vita stessa. Si manifesta, ad esempio, in una squisita sensazione che ci avvolge in presenza di una canzone, un quadro, un disegno, una poesia o di fronte a momenti in cui le parole sembrano comunicare cose insolite. Si manifesta anche di fronte al nostro bisogno di esprimere sentimenti e sensazioni con una certa aderenza, già che non possiamo parlare accuratamente, tra ciò che sentiamo e ciò che scriviamo. Vogliamo caricare le parole di significato, abbellire la frase, creare uno stupore. Condividere una speranza, provocare indignazione, liberare una voce che protesta. E vogliamo provare a dire qualcosa in un modo unico e particolare.
La poesia scritta, anche se non è stata creata per questo scopo, svolge una funzione sociale, non per mezzo di convincimento emotivo o coercizione, ma legata alla chiarezza e alla freschezza del pensiero e dell’opinione. E qui sta una delle sfide dei tempi contemporanei: decostruire un linguaggio costruito per ingannarci. Di fronte a un’impossibilità espressiva, il poeta passa all’invenzione, prima della parola mancante. Luìs Vaz de Camões, ad esempio, poeta portoghese ben noto anche ai brasiliani, alla ricerca di un modo per esprimere l’amore che provava usa paradossi, decostruisce il solito senso logico della lingua:
“L’amore è il fuoco che brucia senza essere visto,
L’amore è la ferita che fa male e non si sente;
E’ una contentezza scontenta,
E’ un dolore che si dipana senza far male.
É un non volere altro che voler bene;
É una passeggiata solitaria tra la gente;
É un non accontentarsi di contenere; É una cura che guadagna nel perdersi.
É voler essere preso dalla volontà; É servire chi vince il vincitore;
É avere con chi ci uccide, lealtà.
Ma come può causare il suo favore
Nei cuori umani amicizia,
Se così contrario a se è lo stesso amore?”
Il cantante Djavan nella canzone Oceano nell’album Djavan (1989, f.2) scrive:
“Vieni e rendimi felice perché ti amo
Fluisci dento di me e oceano”
La voce che parla nella canzone viola le regole della grammatica. Trasforma il sostantivo oceano nel verbo oceanare, perché solo allora spiegherebbe la vastità del sentimento.
La poesia è fatta di immagini soggettive e quasi sempre multi-significati. Ecco perché una poesia come la seguente di José Paulo Paes (Migliori poesie/ Melhores poemas: José Paulo Paes, Global Editora, 1996, p. 137) potrebbe parlare di molte cose, inclusa la necessità di poesia nel mondo.
EQUILIBRIO
Il rubinetto chiuso (Ma peggio:
la mancanza di sete)
La luce spenta
(Ma peggio:
Il gusto del buio)
la porta chiusa (ma peggio:
la chiave all’interno)
Il professor Lourival Holanda dell’Università Federale del Pernambuco, affrontando questo poema in classi e conferenze, se ne appropria per difendere l’importanza della poesia in un mondo di disincanto. Dice che la poesia è ciò che abbiamo per evitare o impedire il rapimento del sogno. La vita per essere mantenuta ha bisogno del sogno. E ciò che colpisce molto profondamente in questa poesia è il non atteggiamento, di fronte alla mancanza. In relazione alla sete, il già citato Djavan nella canzone Esquinas (Angoli) nell’Album Lilás (1984, 1A, f-3) in una canzone di natura esistenziale ha espresso: lo sai / cosa significa morire di sete / di fronte al mare? C’è una mancanza di acqua potabile, ma la sete è lì. È anche possibile pensare ai versi della canzone Tempo perdido (Tempo perso) dei Legião Urbana (1986, 1A, f-6): Non ho paura del buio / ma lascia le luci accese ora.
É inoltre possibile pensare alla poesia José, scritta da Drummond: […]
Con la chiave in mano,
Voglio aprire la porta
non esiste porta
voglio morire in mare
ma il mare si è seccato
Voglio andare in miniera
Ma non ci son più miniere
José e adesso?
Ma ciò che sorprende nella voce che parla nella poesia di José Paulo Paes è la debolezza di fronte alla mancanza di tutto: sete, luce e libertà. Per questo motivo il titolo della poesia è EQUILIBRIO. Ma è una poesia che parla della chiave che sarebbe dentro, basta usarla, per liberarti da tutte le imposizioni, repressioni e andare alla ricerca della pienezza esistenziale e sociale. E la poesia può essere vista come quella chiave.
Come ho detto all’inizio, possiamo comprendere la poesia come la vita stessa. Lei è la natura, il sorriso di un bambino, un gesto umano verso l’altro. O la possiamo percepire in una persona che ci delizia quando la osserviamo assorta nel suo mondo, come attestano i versi di Chico Buarque nella canzone Vitrines (Vetrine) (disco Almanaque, 1981, lA, f.1):
“Passi in mostra
Passi senza vedere il tuo osservatore
Raccogliendo la poesia
Che si rovescia sul pavimento”.
Per me Rolando Toro ha visto nella poesia che abita il cosmo la chiave che può impedire all’umanità di smettere di sognare e ancora di più: a imparare a vivere.
Come nella poesia:
Dislocamento
La poesia sposta la retina
E non ha cura
(Nunes, S. O que Ficou da fotografia, Recife: Linguaraz editor, 2016).
Rolando Toro (Dispensa Creatività, p. 17 o p. 24 secondo la disposizione) afferma anche che “se la nostra vita è un movimento pieno di significato, é anche poesia. Trasformare la nostra esistenza in una danza, è in realtà ‘essere un poema’ “. E concorda con Heidegger che siamo una poesia incompiuta.
Come poesie viventi ci costruiamo con la transtasi che sperimentiamo attraverso la Biodanza. Ma la società malata in qualche modo ci colpisce. Al momento non siamo ignari delle discussioni dei diversi governi sul salvataggio di vite umane o sul salvataggio dell’economia di fronte alla malattia causata dal Coronavirus. Una simile discussione svela una malattia più grande: la distanza umana dal cosmo rivelata nella meschinità del capitale.
Pertanto, le poesie che emergono in una società malata, i cui valori sono anti-vita possono portare a denunce, indignazione, resistenza, ma dobbiamo tenere a mente che il paradiso esiste.
La poesia di Rolando Toro intitolata El Paraíso no es un sueño (Il Paradiso non è sogno) nel libro Extasis del renacido ( p.8, Venezuela, 1992) ci porta una voce che denuncia, che è indignata, ma che in mezzo all’incertezza, in connessione con l’amore, è assertiva nel proclamare una certezza nell’esistenza del paradiso. Ecco alcuni versi:
Il Paradiso non è un sogno
1) Preludio.
Oggi sono spuntati i primi germogli
Del noce, nell’oscurità dell’alba
L’inizio del mondo nel nido di Bem-te-vi.
2) Notizie.
“Il Presidente annunció l’inizio
Dell’offensiva di primavera in Vietnam”.
(qualcuno cercava di chiedere aiuto
Da una finestra. )
[…]
(ma nessuno è andato)
[…]
(quando caddero le bombe. )
“I bambini ebrei sono stati lanciati Dalle finestre”
(qualcuno chiedeva aiuto…
Ma nessuno è andato
Nessuno è andato…
3) Annunciazione.
Pero io so che il Paradiso
Non è un sogno
Ho vissuto il paradiso con te,
Amore…
La distruzione causata dalle bombe atomiche nella seconda guerra mondiale, dalle bombe al napalm in Vietnam, espone con indiscutibile forza l’insensibilità di una società malata. E esistono le minacce della guerra nucleare, così come quella del riscaldamento globale. E tutto questo insieme all’attuale crisi ci ha portato a riflettere sul mondo in cui vogliamo vivere. Ora il pianeta riposa. Ho visto nelle vicinanze di casa mia un rinnovamento della fauna e della flora. Non vedo stormi di farfalle volare così vicino da molto tempo. Stormi di uccelli insoliti che sorvolano la zona. Le foglie degli alberi sono verde brillante e di un verde intenso. La natura può esprimere la sua poesia.
I tempi attuali ci sfidano a raggiungere l’impossibile. Il poeta carioca Chacal recita sempre versi che dicono:
Solo l’impossibile succede.
Il possibile solamente si ripete
Si ripete, si ripete.
Anche Rolando Toro affronta il tema dell’impossibile nel poema Lo imposible puede suceder (L’impossibile può succedere) nel Libro: Lo imposible puede suceder, Oaxaca- Messico, 1995 in cui l’ultima strofa dice: Abbiamo una lettera d’amore nelle mani / e grandi campi di grano dorato / in una spiga del sogno./ Perché l’impossibile è il quotidiano. I due poeti sembrano rendersi conto che la vita è un miracolo che si svolge ogni giorno, in modo creativo, in modo affascinante e magico.
Rolando Toro crea un mondo attraverso la sua poesia, disincantato da ciò che lo circonda. Nel mondo che Rolando Toro inventa decostruisce la narrazione biblica della Genesi (Extasis del renacido, 1992, p. 30).
Genesi
E Dio creò il mundo in sette giorni
Il primo giorno creò l’amore
E, dolcemente, Tremò la vita Nell’occhio del caos
Il secondo giorno creò il vento
E le sementi dell’amore
Si sparpagliarono in tutta la terra
Il terzo giorno creò il mare con
Le sue alghe, i suoi pesci e la canzone delle balene
Il quarto giorno creò la musica e in
Tutte le creature mise un canto differente
Il quinto giorno creò l’uomo e la
Donna e dette loro la conoscenza dell’Orgia
E la cura dei figli
Il sesto giorno creò i funghi magici
E li mise nella bocca degli uomini
Il settimo giorno creò la danza, celebrando
Le sue opere.
Nel mondo creato dal poeta non vi è alcuna sottomissione di una specie verso un’altra. Non fa menzione delle gerarchie di potere ne della schiavitù degli esseri viventi. C’è amore, orgia, musica e danza. E ogni creatura ha la sua canzone diversa dalle altre. Attraverso la musica, si installano l’uguale ed il diverso coesistendo armoniosamente, senza che nessuna creatura debba smettere di essere se stessa.
Se la Genesi di Rolando Toro prende le distanze dalla Genesi biblica, anche il diluvio del poeta si allontana dal diluvio biblico nelle decisioni prese e nei valori di salvezza e condanna impliciti nelle scelte di coloro che entrano o restano fuori dall’arca. La poesia El diluvio (Extasis del renacido, p. 40-41) annuncia che al tempo del diluvio Noè aveva costruito un’arca a forma di donna (l’utero che accoglie e genera una nuova vita, una nuova umanità). La pioggia è torrenziale e scende su un mondo senza nessuna direzione. È torrenziale anche sull’essere umano che non può vivere senza amore. Con il peggioramento dell’inondazione e la conseguente morte di innumerevoli abitanti del pianeta, il poeta elenca coloro che riusciranno a salvarsi dalle acque mortali. Nella sua relazione, tra gli altri, ci sono quelli che hanno mangiato la mela in Paradiso, i Beatles, quelli che si sono guardati indietro e sono diventati statue di lacrime, quelli che non furono ipocriti e trasgredirono le norme discriminatorie e quelli che avevano bisogno di essere accolti. Ma il poeta è implacabile contro i portatori, i difensori e i coltivatori di valori anti-vita:
Però gli usurai
I fabbricanti di Napal
I cacciatori di rinoceronti
Essi non si salvarono
Il veliero del mondo scivola Lieve
Verso le spiagge del selvaggio amore.
Non c’è salvezza per coloro che si organizzano per ottenere profitti esorbitanti in tutto e su tutti. L’industria della morte attraverso le armi, la deprivazione delle specie, l’industria della guerra, l’odio contro culture diverse, l’odio contro l’altro. Nella poesia di Rolando, la vita non ha fine. La speranza è una nota ripetuta. Nonostante quello che siamo come esseri umani, anche nelle condizioni più sfavorevoli, con una forza straordinaria, la vita segue come la base del proprio sostegno e della sua ricreazione. Rinascere è l’ordine della vita, andare avanti.
Di fronte all’equilibrio: il rubinetto chiuso, la luce spenta, la porta chiusa, la poesia ci invita ad andare al centro della ronda e fare la nostra danza, perché come dice Rolando Toro nella poesia Todos tenemos algo que decir: tutti abbiamo qualcosa da dire / passando per il mondo. Nel canto, nelle parole, nei sorrisi. Nonostante le difficoltà, tutti abbiamo qualcosa da dire / passando per il mondo (Lo imposible puede suceder, p. 214).
Per me questa è la chiave che c’è all’interno. Possiamo aprire la porta.
SCARICA QUI LA CONFERENZA COMPLETA IN PDF:
Operatore Ttitolare Didatta di Biodanza SRT
Professore di Letteratura Contemporanea UEPB
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