Dioniso e la rinascita possibile

Di Viviana L. Toro Matuk

Quando parliamo di rinascita qui facciamo riferimento in modo ampio a un processo di rinnovamento. La rinascita è stata un luogo di riflessione per diverse culture e può assumere significati diversi a seconda dei riferimenti sociali e culturali a cui si radica. Per citare alcune di queste declinazioni particolari:

  1. La metempsicosi: trasmigrazione di anime. Una vita prolungata a molte esistenze corporee. Una sola sequenza di vita in successive reincarnazioni. Non si parla o non è esplicitata la continuità della personalità¹.
  2. La reincarnazione: come sopra ma con la continuità di una personalità
  3. Resurrezione: un ristabilirsi dell’esistenza umana dopo la morte in cui avviene o no una trasformazione dell’essenza
  4. La rinascita come rinnovamento: circoscritta al periodo di una vita individuale. Qui si ritrova l’elemento del miglioramento, la guarigione attraverso una cerimonia di rinascita. Non muta l’essenza.
  5. Partecipazione a un processo di trasformazione che accade fuori dall’individuo.

Ci occuperemo di queste due ultime in questa chiacchierata perché si mettono in dialogo diretto con l’esperienza che stiamo vivendo della pandemia e dei suoi effetti, ma anche di una progressiva fuoriuscita dagli inferi. 

Sebbene tutte queste forme di intendere la rinascita indichino aspetti diversi e culturalmente determinati possiamo ritrovare alcuni elementi di somiglianza, quelle che Wittgenstein avrebbe definito somiglianze di famiglia, attraverso le quali possiamo sia comprendere le specificità delle categorie sia intenderci fra soggetti diversi prendendo in esame alcuni aspetti che giovano a un ragionamento. Possiamo cioè fare riferimento a questa trasversalità attraverso l’archetipo.

Il primo tratto famigliare è che in ognuna di queste definizioni c’è in gioco una certa idea attorno all’identità. Continuità o meno della personalità, rinnovamento in una vita (cambiamento esistenziale), relazione tra il sé e la collettività. Questo ci consente un approccio al tema della rinascita, esperienza umana di per sé connaturata all’esistenza, a cui mio padre ha dedicato uno spazio importante in Biodanza. 

In Biodanza, Rolando Toro descrive la rinascita come effetto degli stati regressivi integranti e profondi. Nel Progetto Minotauro, propone una sfida che prende questo nome per una paura specifica della ‘Frontiera della Paura di Vivere’: la paura di invecchiare. Mi sembra curioso che sia emerso il discorso della rinascita in un momento in cui la vecchiaia è considerata ancora più fragile e vulnerabile.

La sfida è un cerimoniale complesso in cui un gruppo di persone formano l’utero (simbolo e corpo) attraverso cui lo sfidante passerà e sarà poi accolto dai genitori e infine in una Ronda di Celebrazione della sua ‘rinascita’.

Alludo a questo rituale perché, allo stesso modo, quando parliamo di nascita o di rinascita, non siamo soli, siamo insieme. Veniamo al mondo. Nasciamo in un mondo. La nostra identità nel suo inizio è permeata da altri e sarà sempre in relazione con altri.

Ci dice Rolando che «la vivencia della rinascita significa abbandonare lo stato di frustrazione che ci accompagnava precedentemente, uno stato di carenza, di solitudine» – e in questo senso è una cerimonia di riparentalizzazione –«per rinascere in un nuovo stile di vita» più pieno, di ricchezza e di compagnia, vicinanza. Certamente l’esercizio rituale può essere mirato a obiettivi molto specifici riguardanti la biografia dello sfidante ma ha un carattere più generale, l’obiettivo più ampio di rinforzare l’identità. 

E infatti prosegue Rolando:«Tutti dobbiamo costantemente rinascere. Chi non rinasce ogni giorno inizia a morire». Qui emerge la nozione di identità come un processo costante di cambiamento e di rinnovamento.

Il secondo aspetto che possiamo ritrovare nella potenza poetica (creatrice) del termine rinascita è l’alternanza fra l’occultamento e l’epifania, tra il vivere o il vivere nuovamente, e il concludersi di una vita, il rinascere. Il processo di rinascita copre quindi la totalità della vita dal suo incipit al suo epilogo. E anche nel rinnovamento si abbandona un vecchio sé per fare spazio a uno nuovo. 

In questo momento siamo in cerca di una rinascita. Vediamo un sistema che è entrato in crisi – lo abbiamo visto attraverso gli effetti diretti sulle nostre vite. Alla ricerca di una rinascita i popoli e gli umani di ogni tempo hanno fatto ricorso ai miti o al mito della scienza. 

Nel contesto storico attuale, vorrei parlarvi del mito di Dioniso, caro a Rolando, attraverso la visione di un autore anch’esso molto riconosciuto per noi di Biodanza, Mircea Eliade.

Dioniso è il dio nato due volte, per alcuni studiosi addirittura tre. Il suo venire al mondo è stato un continuo fra epifanie e occultamenti, il suo carattere sembrava essere forgiato dalla linfa stessa della vita. Il dio più strano di tutti gli olimpi, dio del vino e della festa, il cui essere stesso è caratterizzato dalla rinascita.

Dioniso è concepito da Zeus (una divinità) e Semele, figlia di Cadmo (fondatore di Tebe, mortale). Durante i rapporti amorosi, Zeus si presentava a Semele nelle vesti di un comune mortale. Hera, dea sovrana dell’Olimpo, scoprì l’ennesimo tradimento del marito Zeus e decise di vendicarsi della rivale, già incinta del piccolo Dioniso. Apparve a Semele nelle vesti della sua nutrice e le insinuò il dubbio che il suo amante non fosse Zeus: per accertarsene, le consigliò di chiedergli un amplesso in cui lui si presentasse nelle sue reali vesti divine. La povera Semele cadde nel tranello: quando il dio, per compiacerla, esaudì il suo desiderio, la fanciulla cadde fulminata alla vista di tanto splendore. A Zeus non rimase che strappare il bambino dal grembo di Semele e, aiutato da Efesto, lo cucì in una coscia portando lui stesso a termine la gestazione. Nacque così Dioniso, il dio nato due volte.

In un linguaggio simbolico, la doppia nascita di Dioniso ci parla della possibilità della rinascita. Una trasposizione di questo significato simbolico alla presente situazione storica che stiamo vivendo suggerisce una rinascita. All’insegna del concetto di trasmutazione umana contemporanea, formulato da mio padre nel Progetto Minotauro, una rinascita può avvenire ogni volta che riusciamo ad accogliere il caos con coraggio, in un dialogo interno fatto di silenzi e ascolto di sé. In questo modo l’incertezza, l’oscurità, la paura, l’apocalisse interiore a cui lui accenna poeticamente possono trasmutarsi ed emergere come nuova energia vitale e creativa, per un rinnovamento esistenziale profondo. 

Un secondo aspetto di Dioniso che vorrei metter a tema è il suo manifestarsi, e occultarsi un po’ anche perché la sua diversità dagli olimpi lo ha costretto a una vita di persecuzione.

Omero è il primo a lasciare traccia di Dioniso in un passo che descrive proprio la persecuzione a cui la divinità è soggetta: l’eroe tracio Licurgo insegue le nutrici di Dioniso “ e tutte insieme gettarono a terra gli strumenti del loro culto” mentre il dio assalito da spavento, balzò nei flutti del mare e Teti lo ricevette nel suo seno tutto tremante: un brivido terribile lo aveva colto alle urla del guerriero” (Iliade di Omero in Eliade 2006: 388)… ma “Licurgo si attirò la collera degli dei e Zeus lo rese cieco”

In Plutarco vediamo ancora che Perseo si rivolse con tutto il suo esercito contro Dioniso e contro “le donne del mare” che l’accompagnavano…

La persecuzione secondo alcuni è giustificata dal fatto che fosse un dio straniero, venuto forse dalla Frigia o dalla Tracia. Secondo Erodoto un “dio introdotto tardivamente” o nelle Baccanti di Euripide troviamo “quel dio venuto più tardi chiunque esso sia”.

Il modo in cui è venuto al mondo, la vita da perseguitato, rispondono alla stessa funzione religiosa espressa dal suo culto: l’esperienza religiosa da lui propugnata infatti, secondo Eliade, minacciava tutto uno stile di esistenza e un universo di valori, che in definitiva era la resistenza a qualunque forma di esperienza religiosa assoluta che si può fare solo negando il resto (qualunque nome gli si dia: equilibrio, personalità, coscienza, ragione, scienza). 

Per queste persecuzioni Dioniso scompariva tuffandosi nel mare o nel lago di Lernia e riappariva nelle feste in suo onore come le Antesterie, in una barca sui flutti. Per i suoi occultamenti ed epifanie, sparizioni e rinascite, Dioniso è stato spesso letto come una divinità della vegetazione, le sue feste si inseriscono nel calendario agricolo, è spesso associato al mondo vegetale, come l’edera e il pino, oltre che la vite. Ma Dioniso dice Eliade è più in rapporto con la totalità della vita come mostrano le sue relazioni con l’acqua, i germi, il sangue, lo sperma e gli eccessi di vitalità che si esprimono nelle sue epifanie animali (toro, leone, capro). Le sue comparse e scomparse riflettono l’alternarsi della vita e della morte, in un processo di costante rinascita, che rappresenta l’unità nascosta di quell’alternarsi.

L’identità è caratterizzata dalla sua permeabilità al cambiamento. Il rinnovamento dell’identità si può fare se lascio spazio alle voci plurali che mi informano senza silenziarle, altrimenti sarò uno solo, normato, ma senza rinascere comincerò a morire.

Ora che sentiamo forte un bisogno intimo di rinascita, un bisogno che ci tocca personalmente e che tocca il noi, la comunità umana, possiamo sperare in una rinascita, ma che il mito di Dioniso, il nato due volte, ci sia di ispirazione perché se ci lasceremo orientare solo dai frutti puri della scienza, asepsi, neutralità, distanziamento, rischiamo di riproporre il mondo di prima. Nel nostro venire al mondo nuovamente che ci guidi lo spirito della diversità, dei flutti misteriosi e pieni di vita, della vicinanza, di gioia inebriante, di cui Biodanza è così ricca e che in questo momento sono risorse a cui attingere. Un terreno fertile in cui rinascere come singoli e come comunità.

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¹Originaria dell’antica India e attestata già nelle Upaniṣad (in cui è connessa alla teoria del karma), questa dottrina fu accettata in parte e perfezionata dal buddismo (). In Occidente la dottrina della m. si ritrova nella religione mistica degli orfici (da cui è poi passata nella filosofia greca), per la quale la m. non termina, come nel buddismo, con l’annientamento dell’individualità umana, ma con il trionfo completo dello spirito – concepito come eterno – sulla materia, nella quale era stato imprigionato (σῶμα=σῆμα) e da cui riesce finalmente a liberarsi.

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