Biodanza tra Educazione e Terapia
di Marcelo Mur
Poco dopo aver iniziato a praticare Biodanza a Buenos Aires, ho avuto il privilegio di essere chiamato direttamente dal suo ideatore, Rolando Toro Araneda, diventando così oltre che alunno anche collaboratore, confidente. Posso dire di aver “accompagnato” in parte, direttamente dalla fonte, l’evoluzione della Biodanza da quel momento in poi. Desidero condividere con voi informazioni di fatti e di letture che possano aiutarci a capire più in profondità questo potente strumento di trasformazione che è la Biodanza.
Questo mio intervento è un tentativo di osservare e parlare di Biodanza da un’altra prospettiva dove sono benvenuti tutti i colleghi che hanno maturato dubbi e sono alla ricerca di chiarezza.
Il tema che sottopongo è il seguente:
- Biodanza ha finalità ed effetti educativi o terapeutici, oppure entrambi?
- Conseguentemente, praticare Biodanza in quale dei due campi di esperienza porta gli allievi?
- In ultimo, noi insegnanti ne siamo consapevoli? *
Capirete che se le domande che io pongo sono ben poste, il riflesso di questo interrogativo si estende inevitabilmente sulla “professione” del conduttore di Biodanza.
Inizio definendo questi termini:
- Cosa si intende per educazione e quindi per finalità ed effetti educativi?
Il termine educazione viene dal latino educere che letteralmente significa condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
Vediamo tre accezioni principali:
– L’educazione è un’azione che tende a sviluppare ciò che nell’essere umano è già costituito.
– L’educazione è un intervento inteso ad attualizzare le potenzialità native dell’individuo,
adattandole concretamente ai modelli socio-culturali dell’ambiente sociale in cui l’individuo vive.
– L’educazione è un processo volto a promuovere concretamente la realizzazione dell’individuo in modo completo e armonico.
Queste tre accezioni del termine educazione confermano la finalità e gli effetti educativi di Biodanza: è un sistema di sviluppo umano, di espressione delle potenzialità individuali e si pone come processo di crescita e di realizzazione dell’individuo in modo completo e armonico. Inoltre, favorisce la rieducazione affettiva e agevola il riapprendimento delle funzioni originarie della vita.
- Cosa si intende per terapia e quindi per finalità ed effetti terapeutici?
Il termine terapia deriva dal greco therapeía e ha il significato di cura e di guarigione. Lo scopo della terapia è quello di riportare uno stato patologico a uno stato sano e/o rendere sopportabile la manifestazione di sintomi disagevoli, restituendo al organismo la sua integrità. Cura può anche indicare la prevenzione delle malattie, cioè la promozione della salute.
Biodanza agisce sulla parte sana, quindi è una cura come promozione della salute.
Ci sono diversi tipi di terapie: t. farmacologiche, t. chirurgiche, t. preventive (profilassi), t. di sostegno, t. psicologiche o psicoterapie, t. riabilitative e t. palliative che alleviano i sintomi ma non sono finalizzate alla guarigione (p. es. terapia del dolore).
Nel libro Biodanza, nel primo capitolo Origine, Definizione e Nozioni generali, sotto il titolo La Biodanza nel contesto storico e antropologico della danza Rolando Toro definisce la Biodanza una danza terapeutica, insieme alla Danzaterapia, lasciando intendere che l’azione terapeutica è psicologica e consiste nel rafforzamento dell’identità e nell’induzione della trance musicale.
Nel titolo La vivencia come metodo Rolando Toro scrive: “La metodologia di Biodanza prevede l’induzione di vivencia di integrazione, dal momento che esse implicano una immediata e profonda connessione con se stessi”. “La vivencia è l’espressione psichica immediata della funzione di connessione con la vita”. Biodanza agisce sulla psiche del partecipante, stimolandola intensamente.
Poco dopo, nello stesso paragrafo Rolando Toro compara la Biodanza con le terapie cognitive, quindi, tratta la Biodanza alla pari di una terapia psicologica. Scrive: “Le terapie cognitive che lavorano a livello verbale si basano sul percorso che va dai significati alle emozioni… La Biodanza si basa sul percorso inverso: quello che va dalle emozioni ai significati”.
Colgo l’occasione per invitarvi a riflettere insieme: Quanti significati, generici, noi conduttori offriamo ai nostri alunni, durante la teoria e le consegne, prima che loro possano sperimentare un’emozione?
Certo, dopo una vivencia l’alunno può scoprire significati soggettivi, cioè validi per sé, e questo è , a mio avviso, uno degli effetti educativi e anche terapeutici più potenti di Biodanza. Ma quante volte accade ciò? E invece, quante volte accade che l’alunno riceve grandi quantità di significati generici che non riesce a fare propri e che magari le generano aspettative che non riesce a soddisfare?
Lungo tutto il libro Biodanza troviamo più riferimenti a terapia, a salute e malattia, a medicina, a psichiatria, a medicina psicosomatica, alle interazioni tra lo psichico e lo somatico, e anche qualche riferimento a psicoterapia. Tutti questi riferimenti descrivono un contesto terapeutico.
Vediamo insieme solo alcuni degli innumerevoli esempi (tra parentesi, testi di Rolando Toro):
“Biodanza è un sistema di integrazione umana”. Restituire l’integrità, l’interezza dell’organismo è una funzione della terapia.
“L’integrazione a sé consiste in riscattare l’unità psicofisica”. Ossia, l’unità tra la psiche e il soma.
“Risvegliare la funzione arcaica di connessione con la vita rappresenta uno degli obiettivi di ogni terapia. Questa funzione… può diventare… un atteggiamento cosciente…”.
“… la malattia deriva dall’incapacità di stabilire la connessione con tutto ciò che è vivo…”.
- Insomma, Rolando Toro scrive che Biodanza è una danza terapeutica e anche un sistema di rieducazione e di riapprendimento. Quindi Biodanza è tutto questo! Vuol dire che noi portiamo gli alunni nei due campi di esperienza: sia in quello educativo sia in quello terapeutico. Ne siamo consapevoli?
Ve lo dico subito, per me Biodanza ha evidenti effetti terapeutici. Mi ha aiutato a superare uno stato di disagio, a recuperare benessere, a esprimere le emozioni, particolarmente durante le sessioni, e anche fuori ma con i compagni del corso.
E da un punto di vista educativo, Biodanza mi ha aiutato a relazionarmi con gli altri, soprattutto con i compagni del corso, e mi ha aperto l’orizzonte esistenziale. Mi ha risvegliato nuove motivazioni per la musica, la danza, la letteratura e l’arte in generale. E ho desiderato diventare conduttore di Biodanza!
Tuttavia, dopo 2 anni di conduzione, con difficoltà e insicurezza, ho deciso di formarmi Psicologo. E dopo altri 2 anni ho deciso di formarmi anche Insegnante di Espressione Corporea, una tecnica di danza contemporanea utilizzata in contesto di arte terapia.
Dovete sapere che allora non esistevano Scuole di Biodanza; imparavamo partecipando ai corsi settimanali e agli stage di Rolando Toro, e rispondendo a una serie di questionari che lui ci offriva.
Partiamo dall’inizio e sfatiamo un mito. Ho fatto l’alunno e poi l’insegnante, con entusiasmo, e anche con difficoltà. Praticarla come alunno e trasmetterla come insegnante mi stimolava e mi stimola intensamente; tuttavia, ho trovato, e ancora trovo, ostacoli. In Psicologia c’è un termine tecnico, che è resistenza. Vogliamo parlarne?
Resistenza al cambiamento: è quella forza che ci spinge a mantenerci nella nostra zona di confort. Cambiare presuppone alterare la nostra routine e il nostro mondo interiore, così come affrontare il nuovo e sfidare noi stessi. Tutto questo può causare timori. Ho sperimentato, e sperimento ancora oggi, il percorso di crescita come “una camminata a ostacoli”. A volte gli ostacoli sono superabili con piccoli sforzi; altre volte superarli richiede medi e grandi sforzi. Voi direte e cosa c’entra la “resistenza” con la Biodanza? Anzi, penserete, c’è tutt’altro.
Come insegnanti di Biodanza allora poniamoci subito questa domanda. In una serata di presentazione per adulti che non conoscono la Biodanza avrete tutti fatto l’esperienza di un numero significativo di persone che non ritorna, oppure dopo le prime sessioni, non prosegue. Ho l’impressione che non ci soffermiamo a sufficienza su questo fenomeno, anzi lo “liquidiamo” come fisiologico.
Vi invito ad includere nelle spiegazioni che date a questa “bassa partecipazione” anche la “resistenza al cambiamento”. Così facendo ci troveremo in questo breve excursus a comprendere insieme che quando proponiamo Biodanza è abbastanza probabile che stiamo agendo con una “terapia percepita”.
In questa ‘camminata a ostacoli’, metaforicamente parlando, un ruolo importante ha avuto, e ancora ce l’ha, la definizione di questo strumento: ha finalità ed effetti educativi? è una pedagogia? Se sì, ho chiari gli schemi metodologici da applicare? Oppure ha finalità ed effetti terapeutici? è una terapia? Se sì, ho chiari gli interventi da fare? In ogni caso, come controllare/accompagnare il processo di cambiamento stimolato in ogni alunno? La difficoltà a definirla si trasforma inevitabilmente in una difficoltà a comunicarla.
Continuo a fare un poco di storia personale che mi aiuterà in questa impresa.
Perché arrivai a Biodanza? Per divertirmi! Non certo per guarire. Andavo dietro a una ragazza. Di questo ero totalmente consapevole. Mi sono incontrato con la ragazza. Intanto, praticando Biodanza ho realizzato che mi faceva bene.
Nel mese di Giugno del 1976, avevo 19 anni, arrivai a una palestra a fare Psicodanza, un percorso di crescita. Allora in Argentina, come in altri parti del mondo, nasceva il “movimento di crescita” (growth movement): i percorsi di crescita umana, che attraevano molte persone: Psicodanza di Rolando Toro, Vegetoterapia Reichiana, Analisi Bioenergetica di Lowen, Ginnastica Cosciente, Massaggio, Meditazione, Corso di Auto-assistenza Psicologica, Corso in Miracoli, etc. C’era un grande fermento culturale.
Ma cosa era un percorso di crescita? Non avevo una chiara risposta e quindi non riuscivo a farmi capire da chi mi chiedeva cosa era quella pratica che mi piaceva tanto. Alle persone con cui condividevo la mia quotidianità: miei fratelli, miei genitori, miei amici, ripetevo la definizione di Rolando Toro, dicevo: “E’ un percorso di crescita”. Mi ritornava un’altra domanda: “Cosa?” oppure una battuta: “Non sei cresciuto?”. A livello vivenciale mi sentivo entusiasta, ma a livello verbale vivevo una sorta di confusione. E questa confusione complicava la mia vita in società.
- La sessione di Biodanza era una sorta di oasi nel deserto.
Cerco ora di spiegarvi come sono giunto ad ipotizzare che la difficoltà a comunicare la Biodanza possa essere all’origine di fraintendimenti tra l’operatore e alcune persone, partecipanti alle sessioni e non.
Rolando Toro portava alle sessioni testi suoi, fotocopiati, che ci dava come parte del percorso di crescita. Uno di questi mi ha sorpreso perché definiva la Psicodanza una psicoterapia di gruppo, basata nell’induzione di vivencia integranti attraverso la musica, il canto, la danza e l’incontro in gruppo. Quando ho chiesto spiegazioni a Rolando, lui mi ha risposto che si era ispirato a una americana, Marian Chace, che veniva dalla danza moderna e che proponeva Psicodanza come metodo terapeutico. Quindi, anche lui agli inizi proponeva Psicodanza una psicoterapia di gruppo.
A pag. 81 del libro Biodanza, sotto il titolo Origine del ‘modello teorico di Biodanza’ Rolando Toro scrive:
“Nel 1965 cominciai le prime esperienze di danza con dei malati mentali, presso l’ospedale psichiatrico di Santiago del Cile. A quella epoca lavoravo al Centro Studi di Antropologia Medica alla Scuola di Medicina dell’Università del Cile, diretto da Francisco Hoffman. La nostra preoccupazione era quella di provare diverse tecniche di sviluppo in modo da ‘umanizzare la medicina’: psicoterapie di gruppo secondo la linea di Carl Rogers, arte-terapia (pittura, teatro), psicodramma, ecc. Io ho diretto, dunque, degli incontri di danza con dei malati internati nella sezione dell’ospedale diretta da Agustin Tellez.”
Da questo testo si evince che furono le esperienze cliniche con pazienti psichiatrici internati quelle che diedero materia per elaborare le prime bozze del modello teorico di Biodanza. E’ qui che si formarono i primi concetti di Identità e Regressione. Sappiamo anche che inizialmente la sua proposta veniva chiamata Psicodanza e che Rolando Toro amava definirla una psicoterapia di gruppo, con una metodologia innovativa che introduceva la induzione di vivencia integrante. Perché innovativa? Perché non proponeva una cura con le parole, come la classica psicoterapia, ma prioritaria, ed essenzialmente aggiungerei, una cura con la vivencia.
Voglio aggiungere, a questo che voi già sapete, la mia esperienza personale che ha goduto, come vi ho detto, di un punto di osservazione privilegiato.
Ora vi metto a conoscenza di come furono introdotti gli esercizi di contatto affettivo ed erotico e sul perché furono aggiunti.
Rolando Toro ci ha raccontato, ai suoi alunni di allora, che un suo amico medico, sapendo del buon esito della Psicodanza, gli chiese di sperimentarla con un gruppo dei propri pazienti affetti da epilessia.
L’osservazione che Rolando fece fu che applicando la Psicodanza questi pazienti manifestavano crisi epilettiche sia con gli esercizi di “attivazione simpatica adrenergica” sia con quelli di “stimolazione parasimpatica colinergica”. Più intensa era la stimolazione, più intense erano le crisi per cui decise di continuare a sperimentare ma riducendo la intensità degli esercizi. Le crisi si ripetevano ma erano meno intense.
Rolando Toro ebbe anche modo di osservare che questi pazienti con epilessia, a differenza di quelli con complicazioni psichiatriche, entravano spontaneamente in contatto visivo e tattile tra di loro, e che questi contatti li rassicuravano e rasserenavano.
Da queste osservazioni sono sorte le sue proposte di esercizi che includevano il contatto visivo e tattile, che lui raggruppò in un nuovo polo che chiamò EROS e collocò a metà dell’asse orizzontale. Ecco una nuova bozza del modello teorico: Quindi, all’estremo sinistro dell’asse orizzontale ha ubicato gli esercizi con musiche ritmiche di stimolazione dell’identità, di aumento della coscienza di sé. A metà dell’asse orizzontale ha collocato gli esercizi con musiche melodiche di stimolazione dell’incontro affettivo ed erotico, in cui il partecipante sperimenta in modo alternato coscienza di sé e coscienza dell’altro. Nell’estremo destro dell’ asse orizzontale ha ubicato gli esercizi con musiche melodiche affettive molto lente di induzione della trance e della regressione integranti, in cui diminuisce la coscienza di sé.
Insieme a questo primo modello teorico, Rolando Toro propone anche un modello terapeutico. Scrive: “Il modello terapeutico che ho proposto in Psicodanza consiste in stabilire un allenamento psicofisico per riuscire ad aumentare o diminuire la coscienza di sé, in accordo con le necessità reali dell’individuo: ‘lottare e allontanarsi’ o ‘integrarsi e vincolarsi’” (dal testo Psicodanza, una tecnica corporea per l’autocontrollo del processo d’identità). In altri testi Rolando è più sintetico: “La salute si genera nella capacità di esercitare l’autocontrollo del processo identità-regressione”.
L’asse verticale del modello teorico è comparso successivamente, a tappe che ora sintetizzo per voi: 1° Rolando Toro colloca sotto il polo Eros e sopra il polo Integrazione. In seguito, sostituirà il termine Eros per Differenziazione e, infine, per il termine Potenziale Genetico.
Quindi, l’asse orizzontale descrive l’autocontrollo, mentre quello verticale descrive il processo di sviluppo o crescita .
Secondo me, da questo momento in poi, e più specificamente con la nuova proposta ‘Teoria generale delle vivencia’, ciò che in seguito Toro chiamerà semplicemente ‘Le 5 linee di vivencia’, appare più chiaro il processo di sviluppo proposto dalla Biodanza dentro di una cornice pedagogica.
Prima della comparsa dell’asse verticale abbiamo visto che Rolando Toro lavorava con la sola ipotesi terapeutica dell’autocontrollo del processo identità-regressione. Ipotesi questa che, secondo la mia modesta opinione, non ha mai abbandonato.
A partire dal 1976 Rolando Toro ha cambiato la definizione e il nome della sua creatura. Tuttavia, grande parte della teoria e la metodologia sono rimaste le stesse: teoria e metodologia per una psicoterapia. Identità, Regressione, Vivencia, Emozione, Sentimento, Coscienza, Inconscio, etc. Rolando ha tolto il termine psicoterapia, però tutto il resto è rimasto praticamente uguale.
Per rafforzare questo fatto ricordo che il primo libro (non di poesia) scritto e pubblicato da Rolando Toro fu il Progetto Minotauro, allora sottotitolato ‘approccio terapeutico del Sistema Biodanza’, nel 1988, in Brasile. Contiene chiari ed equilibrati riferimenti di Teoria e di Metodologia, incluso il Processo di cura che propone. Cosa mi comunica tutto questo? Che Rolando aveva appreso molto bene l’applicazione terapeutica di Biodanza.
Invece, per apprendere la sua applicazione educativa fu necessario che passassero altri dodici anni: nel 2000, in Italia, finalmente, Rolando Toro pubblica il libro Biodanza. Una conquista enorme per tutti noi operatori. Tuttavia, come vi ho fatto notare prima, contiene molti riferimenti a salute e malattia, tanti da far pensare ancora a una proposta terapeutica. Sta di fatto che vari testi inclusi in questo libro Rolando Toro li aveva già scritti quando io lo conobbi, testi per la Psicodanza.
Dovete sapere che quando iniziai a fare Psicodanza, il Progetto Minotauro non esisteva. E’ nato a poco a poco, per esigenze terapeutiche! Rolando Toro aveva iniziato a proporre sessioni avanzate e ci spiegava che il suo scopo era “agire sui nuclei di conflitti irriducibili”, testuali sue parole, che troverete nel libro Progetto Minotauro. Vi ricordo che nella teoria di Biodanza Rolando Toro include l’Inconscio Personale descritto da Sigmund Freud, quindi anche la sua teoria del conflitto psichico alla base dei disturbi mentali (vedete la dispensa Aspetti Psicologici di Biodanza).
In queste sessioni avanzate Rolando Toro proponeva esercizi e musiche che inducevano vivencia molto intense: le prime sfide, anche se ancora non le chiamava così. Per me è stato chiaro dai suoi inizi che il Progetto Minotauro era l’approfondimento dell’approccio terapeutico della stessa Biodanza. Rolando Toro ce lo diceva esplicitamente. Nel libro Progetto Minotauro, possiamo leggere innumerevole conferme di questo. Ora riporto soltanto una, a pag. 13, capitolo 1, il libro inizia così: “Il Progetto Minotauro permette la partecipazione del ‘malato di civiltà’ al proprio processo di cura… Lo sviluppo personale richiede che l’individuo sia un protagonista della propria esistenza e non un agente passivo degli strumenti terapeutici…”. (le sotto linee sono mie).
A proposito degli origini del Progetto Minotauro, leggo un passaggio dell’Introduzione del libro omonimo a pag. 10: “Ho iniziato i primi saggi teorici del Progetto Minotauro più di trenta anni fa. Ciononostante, la sua struttura operativa è nata successivamente a partire dai laboratori di vivencia di Biodanza”. Aggiungo io: nei laboratori di Biodanza, come le chiama qui, Rolando aveva osservato che certi cambiamenti non accadevano nei partecipanti, e lui ‘leggeva’ o ‘interpretava’, scegliete voi, che alla base di questa resistenza al cambiamento c’erano conflitti psichici senza soluzione con le vivencia, anche se intense, indotte dagli esercizi di Biodanza. C’era bisogno di indurre vivencia ancora più intense. Dunque, ha introdotto esercizi e musiche che deflagravano intensità molto maggiori, ancora all’interno di sessioni di Biodanza! Generando non poche difficoltà… Infatti, Rolando Toro ha compresso che era necessario creare un altro contesto per introdurre ciò che poi ha chiamato sfide alle paure. In sintesi, da qui è nato il Progetto Minotauro.
E’ evidente la volontà di togliere dalle definizioni di Biodanza e dal Progetto Minotauro ogni riferimento immediato allo terapeutico. Tuttavia sono proposte nate con evidenti finalità terapeutiche ad indirizzo psichico.
Che Biodanza sia una terapia ad indirizzo psichico lo lascia capire Rolando Toro nella dispensa Biodanza Ars Magna: Classificazione delle terapie secondo la natura della relazione terapeuta-paziente. Si noti che qui Rolando utilizza i termini “terapeuta” e “paziente”, e non “insegnante” e “allievo”, quindi le considera tutte delle terapie. Si noti inoltre che delle 120 discipline da lui elencate, 86 sono terapie indicate per disturbi psichici quindi dell’ambito della medicina psichiatrica e della psicologia. Le altre 34 sono discipline di meditazione, espressione corporea, espressione vocale, danza moderna, teatro, mimo e pantomima, rilassamento, sensibilizzazione, digitopressione, massaggio, yoga, arti marziali, risveglio sensoriale e Biodanza. Tutte queste 34 discipline hanno degli effetti terapeutici per la psiche dei partecipanti. Cosa accomuna queste 34 discipline, con le altre 86 di chiaro indirizzo psichico? Il rapporto terapeuta-paziente! Anche queste 34 sono delle discipline ad indirizzo psichico. Tuttavia, alla fine della dispensa Rolando Toro descrive la Biodanza un sistema (di gruppo eterogeneo e semi-aperto, scientifico, ortodosso e integrale, cenestesico vivenciale, immanente e trascendente, di accarezzamento), senza però specificare se si tratta di un sistema terapeutico o educativo o entrambi. Una cosa è certa, il sistema Biodanza è incluso in una Classificazione delle terapie, ad indirizzo psichico.
A pag.38 del libro Biodanza sotto il titolo Le aree di applicazione leggo: “Attraverso l’utilizzo di schemi metodologici differenziati la Biodanza può essere applicata a tre tipi di gruppi umani con proprie peculiarità.
- “Gruppi specifici di bambini, adolescenti, adulti e anziani; gestanti (a gestanti e bambini si applicano degli schemi metodologici finalizzati essenzialmente alla profilassi); coppie; famiglie”. Bisogna intendere che si tratta di gruppi di persone senza problemi, cioè sane.
- “Gruppi eterogenei di adulti con problemi come insicurezza, mancanza affettiva, difficoltà a stabilire legami profondi, stress, mancanza di impeto vitale, sintomi psicosomatici”.
- “Gruppi di riabilitazione esistenziale per individui affetti da disturbi motori o dell’umore”.
Si noti che ognuno di questi gruppi, si di persone sane sia di persone con problemi, ha bisogno di schemi metodologici differenziati.
Ho lavorato sia con bambini sia con adolescenti e posso dire che si sono manifestati delle resistenze al cambiamento proposto dalla Biodanza. Certo, nei gruppi di bambini di 6 anni la resistenza si è manifestata soltanto in uno o due alunni, invece nei gruppi di adolescenti la resistenza si è manifestata in più alunni. A mio avviso, anche se ho proposto la Biodanza come una pedagogia, cioè attraverso quegli che ritenevo erano gli schemi metodologici per persone di quella età e senza problemi, alcuni alunni l’hanno percepita come una terapia.
In tutti i gruppi di adulti con cui ho lavorato e lavoro, oltre a manifestarsi la resistenza al cambiamento, posso dire che raramente qualche partecipante si incorpora al gruppo di Biodanza dichiarando come motivazione il desiderio di superare problemi di insicurezza, mancanza affettiva, difficoltà a stabilire legami profondi, mancanza di impeto vitale. Ciò che alcuni dichiarano come problemi sono lo stress e i sintomi psicosomatici come mal di testa e mal di schiena. Certo, chi partecipa con continuità può scoprire o riscoprire problemi di insicurezza, mancanza affettiva, etc. Ma raramente lo dichiara a me conduttore o lo condivide con il gruppo.
Ho lavorato e lavoro con Biodanza in ambito clinico a scopo di riabilitazione esistenziale con gruppi di individui affetti da disturbi motori o dell’umore. Mi è chiaro che in questo ambito è più che mai fondamentale l’applicazione di schemi metodologici specifici, per riuscire a ottenere dei risultati positivi. Inoltre, l’importanza di saper comunicare la Biodanza, per il fatto di lavorare in collaborazione con il medico curante e con altre figure professionali sanitari di riferimento che sono in contatto quotidiano e diretto con i malati. Colgo l’occasione per condividere con voi che da questo anno 2020 affianco una collega che propone Biodanza dal 2009 in una Comunità Protetta per persone con disturbi psichiatrici, una dipendenza degli Ospedali Civili di Brescia. Come è stata inserita? Come Danzaterapia metodo Biodanza. Le autorità, con totale consapevolezza, hanno scelto di inserirla con una modalità chiara, dentro l’ambito delle danze terapeutiche, come d’altronde Rolando Toro la propone nel libro.
- Quali sono le differenze tra Biodanza e Danza terapia?
“La danzaterapia è un’arteterapia nella quale il terapista utilizza il corpo e il movimento come mezzo primario per raggiungere scopi terapeutici. Quindi utilizza l’espressività corporea per regolare le emozioni” (Wikipedia). E’ indirizzata a chi riconosce in sé un disagio psichico.
“La Danzaterapia ha effetti terapeutici riconosciuti, ma i suoi obiettivi si limitano ai malati. Per noi, l’attività creatrice è lo sviluppo naturale di una funzione biologica, un’ estensione del processo di vita” (Rolando Toro). Gli obbiettivi della Biodanza raggiungono A TUTTI, ai sani e anche ai malati.
In linea con questo desiderio di Rolando Toro, dal 1 Febbraio 2005 la Biodanza è riconosciuta una disciplina bio-naturale, non sanitaria. In quella data la Regione Lombardia ha promulgato la Legge Regionale N. 2 “Norme in materia di discipline bio-naturali”, dove dice: 1. La presente legge ha lo scopo di valorizzare l’attività degli operatori in discipline bio-naturali… 2. Le prestazioni degli operatori in discipline bio-naturali consistono in attività e pratiche che hanno per finalità il mantenimento del recupero dello stato di benessere della persona. Tali pratiche, che non hanno carattere di prestazioni sanitarie, tendono a stimolare le risorse vitali dell’individuo…”. “Biodanza è un sistema che favorisce lo sviluppo umano e il rinnovamento esistenziale”. Biodanza, una disciplina del benessere, per tutti. Una conquista di notevole portata per tutti noi operatori di Biodanza.
Più recentemente, nel 2015, la ricerca Biodanza e Benessere, condotta per l’Associazione Biodanza Italia da un gruppo di psicologi dell’Università La Sapienza di Roma, Cattedra di Psicologia della salute, ha appurato che chi cerca Biodanza arriva con maggiori livelli di alessitimia (disregolazione emotiva), cioè senza parole per esprimere le emozioni, rispetto a chi sceglie un corso di tango o di balli tropicali oppure a chi sceglie di restare a casa a leggersi un libro o a guardarsi un film.
La buona notizia è che la pratica continuativa di Biodanza durante un corso annuale (9 mesi) diminuisce i livelli di alessitimia. Quindi è stato appurato che la Biodanza ha effetti terapeutici psichici.
A proposito di disregolazione emotiva, vediamo la sua soluzione: “Per una regolazione emotiva efficace è necessario: Essere disponibili a sperimentare stati emotivi sia positivi che negativi (e anche a dirlo!, aggiungo io); Essere in grado di discriminare, riconoscere ed essere consapevoli delle proprie emozioni e sentimenti; Essere in grado di perseguire i propri obiettivi/scopi anche a fronte di stati d’animo spiacevoli ed in assenza di gratificazioni immediate; Utilizzare strategie di regolazione degli stati emotivi adattive rispetto al contesto ambientale e relazionale contingente” (tratto dal sito web: centrointerapia.it).
Ho ascoltato Rolando Toro dire più volte che per lui terapia era sinonimo di aiuto. Infatti, questa è un’accezione implicita nel significato di terapia come cura: il prendersi cura, l’accompagnare qualcuno in un momento di bisogno.
Per me, chi cerca Biodanza manifesta il bisogno di essere accompagnato, anche se non ne è totalmente consapevole. Suggerisco: l’operatore deve essere totalmente consapevole.
Mi domando: perché nonostante tutte le evidenze sia nei testi sia a voce di Biodanza come una terapia, Rolando Toro ci proponeva Biodanza come una pedagogia del vivere, presentandosi “professore/insegnante” e chiamandoci “alunni”?
Mi rispondo: Rolando Toro ha scelto di togliere dal nome e dalla definizione di Biodanza ogni riferimento a ciò che è psichico e a ciò che è terapeutico, oltre che per le ragioni che esplicita nel cambio del nome da Psicodanza a Biodanza, anche per attrarre il maggior numero di persone. Infatti, speso diceva che Biodanza era una terapia di moltitudini. Si noti che a parole Rolando Toro continuava a definire Biodanza una terapia! Lui osservava, insieme ad altri studiosi, che, in un certo senso, non c’era tempo da perdere con approcci psicoterapeutici individuali o in piccoli gruppi; che serviva con urgenza favorire il cambiamento nel cuore di molti individui. Come lui scrive nell’Introduzione del libro Biodanza:
“La seconda guerra mondiale aveva mostrato che l’uomo può raggiungere livelli di perversità inconcepibili. (…) La crisi della cultura occidentale era palese.” (…)
E più avanti: “L’azione terapeutica della Biodanza implica la consapevolezza che il nostro stile di vita può condurre a determinate patologie; in questo senso, la Biodanza può essere considerata un sistema di rieducazione affettiva per ‘malati di civiltà’”.
Allora se la Biodanza compie un’azione terapeutica, vuol dire che si propone come una terapia o se volete con effetti terapeutici. Ad ogni modo, togliendo dalla definizione il termine terapia, non restava altra alternativa valida che era quella del termine educazione. Con questa caratteristica, meno specialistica, con un indirizzo più umanistico, il bacino di utenza sarebbe stato sicuramente maggiore.
Questa chiamiamola “strategia comunicativa” cosa ha comportato? Secondo il mio modesto parere, una volta assunta la valenza “pedagogica”, quella “terapeutica” è stata di conseguenza “relativizzata” con un riflesso pero, non banale, sulla mancata consapevolezza degli operatori.
Concludendo: mi è chiaro che quando Rolando Toro ha scelto di definire un percorso di crescita la sua creatura Psicodanza, e poi ha scelto di rinominarla Biodanza, ha intrapreso una strada diversa. Lo dice chiaramente nella dispensa Definizione di Biodanza: “Se l’obiettivo della Psicoterapia è guarire malati, l’obiettivo della Biodanza è sviluppare i potenziali di salute. L’alternativa è, dunque, lavorare a partire dalla malattia oppure dai fattori di ottimizzazione biosociale”.
Tuttavia, è capitato, e potrà capitare ancora, che stimolando le vivencia, magari in modo inappropriato, l’operatore generi situazioni in cui qualche partecipante percepisca un coinvolgimento emotivo eccessivo. La domanda che mi faccio è questa: è possibile evitare o limitare al minimo l’insorgere di queste situazioni emotivamente stressanti? Mi rispondo: Sì. È possibile, applicando schemi metodologici appropriati, e con accurata progressività.
Mi è chiaro inoltre che la Biodanza, attraverso il suo metodo di induzione o stimolazione di vivencia integrante, genera effetti educativi e terapeutici senza che l’alunno senta il bisogno di mettere parole a tale processo o a tali risultati.
Tuttavia, ritengo importante sostenere e favorire l’espressione verbale dell’alunno, sia nel contesto della verbalizzazione delle vivencia sia in altri contesti non strutturati metodologicamente come prima e dopo la sessione, con l’ascolto attento ed empatico da parte dell’operatore. Perché sappiamo che la parola che cura nella psicoterapia è quella del paziente e, allo stesso modo, la vivencia e la parola che curano in Biodanza sono quelle del partecipante. Lacan ha chiarito ulteriormente questo, andando oltre Freud e la sua ipotesi di fare coscienti i conflitti inconsci, affermando che “Il linguaggio è il fondamento costitutivo della vita psichica, ha una funzione formativa e regolativa della realtà del soggetto umano, delimita il pensiero e lo adatta alla realtà umana condivisa”. Detto in altro modo, l’essere umano non può fare a meno della parola.
Mi è chiaro che questo strumento è nato con finalità terapeutiche ad indirizzo psichico, e oggi è praticamente lo stesso strumento che ho conosciuto più di 40 anni fa. Certo, oltre a cambiare nome e definizione, in tutto questo tempo si è arricchito di contenuti, ma l’essenza dello strumento non è cambiata. Perciò, sottolineo le due proposte fatte prima, agli operatori, che riguardano l’applicazione della Biodanza: schemi metodologici appropriati con progressività, e parole alle vivencia ed emozioni.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Marcelo Mur
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